NFT, moda, novità o futuro assicurato?

Scritto da Magaly

Magaly Jacqueline Arocha nasce a Caracas nel 1968. È vissuta nel fragore della Gran Caracas. Cambia più volte casa, quartiere e ogni volta è una nuova esperienza che fin quasi da subito le fa comprendere che il viaggio e il cambiamento saranno parte integrante della sua vita.

29 Marzo 2022

Negli ultimi mesi si parla sempre di più di NFT, un acronimo che significa non-fungible token. Ma cosa sono e come nascono?

Tutto nasce da un gruppo di ragazzi svegli che amava i videogiochi e che condivideva il paradigma tecnologico delle “Blockchain”, che avrebbe consentito la democratizzazione di qualsiasi attività, grazie all’efficienza dell’algoritmo.

Detta così sembra un’assurdità, ma a pensarci bene funziona.

Immaginiamo un sistema in cui non ci sia un decisore “supremo”, un capo che può cambiare le regole, ma una rete di nodi informatici che devono raggiungere il consenso per validare una qualsiasi azione, consentendo la decentralizzazione, la completa tracciabilità dei trasferimenti, la disintermediazione, la trasparenza, l’immutabilità del registro, la programmabilità dei trasferimenti.

Questo gruppo di millenials comprende una cosa: mentre una crypto moneta è fungibile (diciamo anche divisibile, per semplificare, e quindi utilizzabile anche parzialmente per l’acquisto di altri beni), un videogioco non può essere diviso in parti tra loro indipendenti, ma rappresenta un oggetto unico che tale deve rimanere.

Gli NFT

Nascono così i Non Fungible Tokens, vale a dire quelli che potremmo chiamare gettoni indivisibili e/o non replicabili.

Questi ragazzi sono quelli che hanno inventato i Cryptokitties, gattini digitali creati da un algoritmo, il cui valore dipende dalla difficoltà di acquisire o meno tutte o parte delle caratteristiche pensate dall’algoritmo stesso.

E’ stato l’inizio, anche se i veri inventori degli NFT sono Anil Dash e Kevin McCoy, nel 2014 a New York.

Si tratta di certificati “di proprietà”, nati per le opere digitali, ma le cui applicazioni sono praticamente infinite.

La mia opera “Abrazame” modificata digitalmente

Pensiamo al Diritto d’Autore, prova dei contratti digitali tradizionali, certificazioni, identità.

Si tratta – in estrema sintesi – di un tipo speciale di token crittografico che rappresenta l’atto di proprietà e il certificato di autenticità scritto su Blockchain (e quindi immutabile) di un bene unico (digitale o fisico).

Dove vengono usati?

Gli NFT vengono usati in applicazioni particolari che richiedono oggetti digitali unici come cripto art, oggetti da collezione digitali e giochi online.

Il mondo dell’arte è uno dei primi campi di utilizzo di NFT, perché l’opera d’arte – per sua natura – dovrebbe essere unica e non riproducibile.

Le applicazioni tuttavia si stanno moltiplicando. L’alta moda sta lanciando i suoi NFT (Dolce & Gabbana e Prada i precursori), la Ferrari, ma anche Lego e Rolex.

Immaginiamo di abbinare il bene reale a quello virtuale, ognuno dei quali può avere vita a sé stante, con dinamiche di valore, ricercatezza, rarità indipendenti ed anzi con la garanzia di immutabilità dell’NFT rispetto al bene reale, oggetto all’usura del tempo, dell’utilizzo e ai rischi di sottrazione.

Alcuni ristoranti hanno creato NFT dei loro piatti e delle ricette originali, che diventano proprietà di chi le ha inventate o forse solo “tokenizzate”.

La mia visione

Oggi si sente parlare di NFT anche al bar, perché si pensa (erroneamente) che sia sufficiente digitalizzare un oggetto (artistico, raro, buffo, etc.), metterlo su una di queste piattaforme (la più nota che gira su tecnologia Ethereum è Opensea) e diventare ricchi.

Mi spiace, ma non è così. Il mondo digitale non è diverso da quello reale. Se non c’è valore, non basta la moda per diventare milionari.

E’ sempre fondamentale costruire la propria community, coltivarla, incuriosirla, coccolarla, blandirla se si vuole, puntare sul proprio storytelling, chiarire il proprio brand e a chi viene rivolta la propria proposta e poi, solo poi, si potranno ottenere i risultati, con l’indubbio vantaggio che un oggetto su blockchain è per definizione immutabile e unico, certificato da un numero potenzialmente infinito di nodi informatici tutti d’accordo tra loro.

Mi resta un’ultima domanda. Il mondo crypto è democratico?

La mia risposta è senza ombra di dubbio no.

Anch’esso renderà ancora più ricchi i ricchi e non darà alcuna chance non dico ai poveri (ai quali sono destinate le briciole che ovviamente essendo i ricchi sempre più ricchi aumentano), ma all’ascensore sociale, che dovrebbe essere la spinta al miglioramento dell’umanità.

Immaginiamo il ricco Signore che acquista Crypto muovendo danaro da Hong Kong a Singapore, che scambia le plusvalenze con moneta Fiat da un wallet crypto ad un conto alle isole Vergini … e poi immaginiamo il Sig. Rossi che compra crypto dal suo conto della BCC tramite bonifico su Coinbase e fa una plusvalenza del 100%: come minimo pagherà il 26% di imposte, il che sarebbe giusto, se anche il primo Signore facesse lo stesso.

Vi saluto con le riflessioni di François-Henry Pinault, Presidente e AD del Gruppo Kering (Gucci, Balenciaga, Bottega Veneta, Saint Laurent, Pomellato, Dodo, etc.) che sembra confermare la mia riflessione precedente:

“la blockchain permette la rarità, l’unicità e quindi la proprietà di un prodotto virtuale, cosa che finora non esisteva. Si creano quindi nuove opportunità, di tre tipi: l’estensione di un prodotto fisico nel mondo virtuale, per esempio NFT legati ad un prodotto reale, e su questo stiamo già testando qualcosa; 

poi nuovi prodotti unicamente virtuali; e infine stiamo esplorando la possibilità degli smart contract. 

Oggi noi vendiamo un prodotto, e se il cliente lo rivende a terzi a noi non arriva nulla. Con gli smart contract e i prodotti virtuali, una parte del ricavato potrebbe automaticamente tornare alla maison”.

Che dire … arrivederci nel Metaverso che tutti sanno che c’è, ma nessuno sa fino in fondo cos’è 😊

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